L’Intelligenza Artificiale: Un Futuro Senza Doppiatori Francesi?

Clonazione vocale e intelligenza artificiale: perché i doppiatori sono in prima linea

 

Nell’era dell’intelligenza artificiale generativa, poche professioni creative si trovano esposte quanto quella degli attori di doppiaggio. La voce, strumento di lavoro e tratto identitario profondo, è oggi sempre più facile da registrare, analizzare, riprodurre e clonare tramite algoritmi avanzati. Una trasformazione tecnologica che solleva interrogativi cruciali sul futuro della professione, sui diritti degli artisti e sull’etica dell’IA.

Se fino a pochi anni fa la clonazione vocale apparteneva alla fantascienza, oggi è una realtà industriale concreta, già utilizzata in videogiochi, pubblicità, assistenti vocali e contenuti audiovisivi.

Il caso Scarlett Johansson: una scossa globale

Il dibattito ha assunto una dimensione internazionale nel maggio 2024, quando l’attrice Scarlett Johansson ha accusato OpenAI di aver utilizzato una voce «straordinariamente simile» alla sua per una delle voci di ChatGPT, dopo che lei stessa aveva rifiutato di collaborare al progetto.

«Sono rimasta scioccata, arrabbiata e incredula», ha dichiarato l’attrice, sottolineando come amici e familiari avessero riconosciuto immediatamente la somiglianza.

Il caso ha avuto un’eco immediata anche in Italia, rilanciando il tema della tutela della voce come diritto della personalità, al pari dell’immagine e del nome.

Una minaccia concreta per i doppiatori italiani

In Italia, il settore del doppiaggio è storicamente considerato un’eccellenza culturale. Tuttavia, molti professionisti esprimono oggi forte preoccupazione. Le tecnologie di voice cloning consentono infatti di replicare una voce partendo da pochi minuti di registrazione, riducendo tempi e costi di produzione.

Il rischio principale? Che le voci degli attori vengano utilizzate:

  • senza consenso esplicito,
  • senza compenso equo,
  • o per addestrare modelli di IA destinati a sostituirli nel lungo periodo.

Come evidenziato da diversi sindacati di categoria, non si tratta più di una paura teorica, ma di una trasformazione strutturale del mercato.

Diritti, consenso e vuoti normativi

Uno dei nodi centrali riguarda il quadro giuridico. Chi possiede una voce clonata? L’attore? La casa di produzione? La piattaforma tecnologica?

Secondo molti esperti di diritto digitale, la normativa attuale non è ancora sufficientemente chiara. L’AI Act europeo, pur introducendo principi di trasparenza e responsabilità, non disciplina in modo specifico l’uso commerciale delle voci sintetiche basate su persone reali.

In Italia, il dibattito coinvolge anche il diritto d’autore, il diritto all’identità personale e la protezione dei dati biometrici.

Resistere o adattarsi?

All’interno della categoria emergono due visioni:

  • chi chiede regole più severe e divieti chiari sull’uso delle voci clonate;
  • chi propone un approccio più pragmatico, basato su licenze, contratti e compensi per l’uso dell’IA come strumento di supporto, non di sostituzione.

Alcuni doppiatori iniziano già a negoziare l’uso della propria voce sintetica come estensione del proprio lavoro, a patto di mantenere controllo e remunerazione.

Un equilibrio ancora da costruire

La sfida non è fermare l’innovazione, ma governarla. Senza regole chiare, il rischio è quello di impoverire il valore umano della creatività, riducendo la voce a un semplice asset tecnologico.

Il futuro del doppiaggio – e più in generale delle professioni creative – dipenderà dalla capacità di trovare un equilibrio tra innovazione tecnologica, tutela dei diritti e riconoscimento del lavoro umano.

Perché, anche nell’era dell’intelligenza artificiale, una voce non è solo un suono: è identità, emozione, cultura.

📰 Fonti italiane

 

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