🎓 ChatGPT può “addormentare” il cervello? Lo studio choc del MIT

Studio del MIT: ChatGPT può ridurre l’attività cerebrale e modificare l’architettura cognitiva

 

Un recente studio condotto dal MIT Media Lab ha rivelato che l’utilizzo di modelli linguistici di grandi dimensioni, come ChatGPT, può portare a un calo significativo dell’attività cerebrale e modificare la struttura cognitiva degli utenti durante compiti complessi. La ricerca apre interrogativi cruciali sull’impatto neurologico dell’intelligenza artificiale, in particolare nell’ambito dell’apprendimento.

L’ipotesi: un cervello meno attivo se aiutato dall’IA

Proprio come i muscoli si atrofizzano in assenza di esercizio – come mostrano gli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale – anche il cervello potrebbe perdere funzionalità se non viene stimolato. È quanto ipotizza Nataliya Kosmyna, coautrice dello studio, insieme al suo team del MIT Media Lab. Per testare questa teoria, i ricercatori hanno coinvolto 54 volontari tra i 18 e i 39 anni, suddivisi in tre gruppi.

Tutti i partecipanti dovevano scrivere un saggio simile a quello richiesto per il SAT (test d’ingresso universitario negli USA). Il primo gruppo ha lavorato senza alcun aiuto, il secondo ha potuto usare un motore di ricerca, mentre il terzo ha fatto affidamento su ChatGPT. Durante l’esercizio, i partecipanti indossavano un elettroencefalogramma (EEG) per monitorare in tempo reale l’attività cerebrale.

Risultati allarmanti

I dati raccolti dopo quattro mesi sono chiari: l’uso dell’IA riduce drasticamente l’attività neuronale. Il gruppo “solo cervello” ha mostrato la più alta attivazione cerebrale, seguito da quello che ha utilizzato il motore di ricerca (con un calo tra il 34% e il 48%). Il gruppo che ha lavorato con ChatGPT ha registrato una diminuzione fino al 55%.

Inoltre, l’IA non solo riduce l’attività, ma modifica anche la connettività cerebrale. Le immagini ottenute tramite EEG mostrano che l’uso di ChatGPT porta a un’attivazione molto più limitata delle aree cerebrali, soprattutto quelle coinvolte nel pensiero critico, nella memoria semantica e nella generazione di idee.

Dall’intelligenza artificiale alla pigrizia cognitiva

Secondo i ricercatori, gli utenti che si affidano a ChatGPT mostrano una tendenza a non elaborare in profondità le informazioni. In pratica, si limitano a leggere, selezionare e trascrivere le risposte fornite dall’IA, senza integrarle realmente nella memoria a lungo termine.

Un dato particolarmente interessante: molti partecipanti del gruppo IA non erano in grado di ricordare o riformulare i propri testi senza l’ausilio dell’intelligenza artificiale. Secondo Kosmyna, ciò indica che l’uso di LLM potrebbe “bypassare” i normali processi di apprendimento e memorizzazione.

Paradossalmente, l’attività cerebrale dei partecipanti “solo cervello” aumentava quando veniva concesso loro di utilizzare l’IA in una fase successiva, solo per la revisione: in questo caso, l’IA veniva integrata come supporto e non come sostituto del pensiero.

Un rischio per l’autonomia intellettuale?

Lo studio si chiude con una riflessione profonda: “Sebbene gli LLM rendano più semplice trovare risposte, questa comodità ha un costo cognitivo. Rende gli utenti meno propensi a valutare criticamente ciò che leggono e li porta a una dipendenza passiva dalle risposte fornite.”

I ricercatori lanciano un appello alla comunità scientifica: servono studi longitudinali per capire gli effetti a lungo termine degli LLM sul cervello umano, soprattutto nei giovani.

Implicazioni per l’educazione e l’infanzia

Con l’intelligenza artificiale sempre più presente in ambito scolastico e persino nei giocattoli per bambini, questo studio solleva un allarme che non può essere ignorato. L’IA può essere uno strumento potente, ma non deve sostituire il ragionamento umano.

Secondo Kosmyna: “Non è una questione di demonizzare l’IA, ma di comprenderne i limiti e usarla responsabilmente.”

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