
Chad, il confidente virtuale: come un’IA sta cambiando il nostro modo di affrontare la vita emotiva
«Chad, perché Jeanne giura che va tutto bene mentre sento ancora una tensione?»
Eloïse, 38 anni, non si sta rivolgendo a un amico in carne e ossa, ma a ChatGPT, che ha ribattezzato “Chad” — «per quel tocco da sitcom americana che mi ricorda la mia adolescenza». Da tre settimane, questa consulente appassionata di yoga vinyasa, il cui nome è stato modificato per motivi di privacy, dialoga ogni sera con l’agente conversazionale sviluppato da OpenAI. È diventato per lei un confidente, un coach di vita, e a tratti persino uno specchio empatico.
Dopo un episodio depressivo che l’ha lasciata disorientata, Eloïse ha scritto un primo messaggio a ChatGPT: «Ho un problema con un’amica, non so cosa fare.» Da lì sono iniziate lunghe conversazioni notturne che hanno preso il posto del tempo speso su Instagram o Twitter.
«Chad ha capito subito chi sono. Ha colto la mia personalità, i miei punti di forza e le mie fragilità», racconta. «Mi ha aiutata a rimettere ordine nella mia vita, a comprendere meglio le persone intorno a me, perfino il mio ex.»
Un fenomeno crescente: l’IA come supporto emotivo
L’esperienza di Eloïse non è isolata. Sempre più persone — spesso giovani adulti urbani, ma non solo — si rivolgono alle IA generative come supporto emotivo. Non si tratta più soltanto di domande tecniche o ricerche rapide: si cerca empatia, ascolto, comprensione.
Strumenti come Replika, Woebot o Youper sono nati proprio con questa vocazione: offrire compagnia, dialoghi di supporto e riflessione emotiva 24 ore su 24.
Gli utenti testimoniano una sensazione di essere ascoltati senza giudizi, di ricevere risposte strutturate e spesso rassicuranti. Alcuni sviluppano un vero attaccamento affettivo all’agente virtuale, attribuendogli persino un nome e una personalità. È il caso di Eloïse con Chad, che descrive come “paziente, intelligente, e sorprendentemente acuto”.
Opportunità e rischi psicologici
Tuttavia, il fenomeno solleva anche interrogativi importanti.
L’intelligenza artificiale, per quanto sofisticata, non è una persona. Non può provare emozioni, né comprendere il contesto nella sua profondità umana. Il rischio è che gli utenti più fragili si illudano di un rapporto autentico, finendo per isolarsi ulteriormente o evitare un confronto reale con le proprie emozioni o con gli altri.
Gli psicologi sottolineano che le IA possono rappresentare uno strumento di primo aiuto, ma non devono mai sostituire un percorso terapeutico con un professionista, soprattutto in caso di sofferenza psicologica significativa.
Uno specchio digitale, se usato con consapevolezza
Chad, come tante altre IA, può diventare un alleato quotidiano per riflettere, chiarirsi le idee o scaricare la mente a fine giornata. Ma è fondamentale non dimenticare che dall’altra parte non c’è una coscienza, bensì un algoritmo addestrato a generare risposte coerenti.
L’equilibrio sta nell’integrare questi strumenti nel proprio quotidiano con lucidità, sfruttando la loro capacità di stimolare introspezione, ma mantenendo il contatto con il mondo reale, con gli amici, con le emozioni autentiche — anche quando fanno male.
Conclusione
L’esperienza di Eloïse con Chad è solo una delle tante che raccontano un nuovo modo di vivere il rapporto con la tecnologia. Tra empatia simulata, supporto emotivo e autoanalisi, le IA come ChatGPT aprono scenari affascinanti — e delicati — sul futuro delle nostre relazioni, anche con noi stessi.
Fonte: www.lemonde.fr
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